19 Febbraio 2018

La Via Dolorosa di Matilde Serao (Gerusalemme 1893)

di CORRADO SCARDIGNO

Nel paese di Gesù. Ricordi di un viaggio in Palestina è il diario di viaggio della giornalista e scrittrice italiana Matilde Serao (Patrasso, 1856 – Napoli, 1927), composto in “Palestina” nel 1893, pubblicato nel 1899. Dal fascino dell’Egitto, alla spiritualità della Terra Santa, la scrittrice napoletana viaggia come turista e pellegrina in una dimensione mistica, cercando, come scrive nella premessa al libro, “dove fremesse, dove vibrasse l’anima di quella Sacra Terra, che ha visto Iddio, e ne ha udito la voce”.

La sua profonda sensibilità e il suo sguardo romantico fanno sì che il suo racconto sia pura poesia lirica, ricca di immagini, sensazioni, profumi, colori, personificazioni di luoghi che esplodono proprio a Gerusalemme. Qui, dopo aver visitato il giardino del Getsemani che alla fine interpella personalmente con lo stile del Tu, tipico degli inni sacri (“tu hai udita la parola, tu hai visto le lacrime, tu sei più sacro a noi, di ogni sacro posto: e niuno può accostarsi a questi secolari ulivi, senza tremare”) comincia il cammino della Via Dolorosa. Rileggendo la sua lunga descrizione, ci si immerge con gli occhi e con l’anima, non solo in quel mondo che agli albori del XX sec. si mostrava ancora così esotico, ma contemporaneamente in una dimensione sacra.  Il presente si intreccia continuamente con un passato così carico di intensità che è sempre lì, tra l’affascinante confusione dei bazar e dei costumi arabi.

In alcuni punti sembra come se la scrittrice napoletana sia tra le donne di Gerusalemme che seguono Gesù fino al luogo della crocifissione e, riprendendo i versi dello Stabat Mater, sembra come se la sua anima tremi e soffra insieme a quella del Cristo (Fac me vere tecum flere, Crucifíxo condolére donec ego víxero). Il suo sguardo, ricorda quello di un’altra grande pellegrina, Egeria (IV sec.), così come ricorda lo sguardo e la sensazione di tutti i pellegrini che da secoli ripercorrono spiritualmente e fisicamente la Via Dolorosa.

“Chi percorre, ora, questa Via della Croce, presa nella sua più ristretta essenza, non già dalla casa di Hannan, il gran sacerdote, colui che veramente meditò, decise e volle la morte del profeta di Galilea, non già dalla casa di Kaipha, strumento cieco nelle mani di suo suocere Hannan, ma da quel Pretorio romano, da quel lithostratos, dove Ponzio Pilato, furbo e umano governatore, fu costretto a condannare Gesù, dopo aver tentato due o tre volte di salvarlo, chi percorre, dico, questa via,  di cui ogni passo ricorda l’’ultimo fatale tragitto, chi la percorre, olendo tutto vedere e tutto osservare, cioè con pacatezza, mette qualche momento più di un’ora, per raggiungere il luogo del supplizio e della morte, il Golgotha, cioè la chiesa del Calvario.

Anche adesso, la Via della Croce è tutta in salita, abbastanza erta in alcuni punti, e in vari altri vi sono degli scalini, come innanzi al vescovado copto, dove per la terza volta, Gesù cadde sotto il peso della croce, come innanzi alla casa della buona Veronica: pure è una via selciata, alla maniera gerosolimitana, di piccole pietre lunghe e strette, che stancano molto, ma, infine, è selciata. Un’ora e più, dunque per il viandante cristiano, per il curioso di cose religiose: e una relativa stanchezza, più che per aver camminato, due o tre ore, nei sentieri di campagna, dove il piede non ha l’urto di quelle piccole selci e dove l’erta non è continua, come nella Via Dolorosa. Ben più lunga dovette essere, pel Martire! Allora la salita doveva essere molto più ripida, e la via non era selciata, e probabilmente era in cattivo stato, come tutte le strade di allora; Egli era carico della Croce.

Gli ultimi giorni li aveva passati in veglie e in emozioni profonde; le ultime due notti erano state terribili; egli era stato legato alla colonna, flagellato, vilipeso; il suo animo era abbeverato di amarezza e le sue forze fisiche erano stremate. Non morì, egli, rapidamente, sulla croce, mentre quel supplizio consentiva anche tre giorni di vita, e spesso si dovevano spezzare le gambe e le braccia ai condannati, poiché non morivano presto? Quando egli percorse, passo passo, lentamente, la Via Dolorosa, doveva essere in uno stato di accasciamento fisico tale, che questa strada, da noi percorsa in poco più di un’ora gli dovette sembrare eterna!

(I) Il pretorio di Ponzio Pilato è, adesso una caserma turca: vi stanno dei fantaccini musulmani. Pure, con quella cortesia turca che fluisce sempre sovra coloro, i quali non domandano denaro e spesso ne offrono, mediante una mancia, si può entrare in questa caserma, dove principia la Via Dolorosa e ogni Venerdì, anzi, i padri francescani, seguiti dai pellegrini e da altri devoti, vi cominciano il Cammino della Croce, per seguitarlo in tutte le quattordici stazioni, liberamente. Ordunque voi salite in questa caserma turca, per una ventina di scalini, vi aprono la porta, passate sotto una grande bandiera rossa con la mezzaluna e la stella bianca: penetrate in un grande cortile, dove sono i fasci di fucili, dove i soldati lavano le loro gamelle: è questo il Pretorio, questo è il lithostratos, qui Gesù fu condannato a morte. Ricordate le estreme parole di Pilato: io mi lavo le mani del sangue di questo giusto? È lassù, su quel muro dirimpetto, che egli le proferì: è quaggiù, in questo cortile, dove le canne di fuci

li scintillano al sole, dove i soldati strofinano le fibbie dei loro cinturoni per farle diventare lucide, che il popolo ebreo pronunziò, tumultando, la tremenda imprecazione: ricada il suo sangue sulle nostre teste e su quelle dei nostri figli, sino alla settima generazione!

(II) Ma ecco, Gesù discende la scala, è nella via: lo caricano della croce: qui è il posto, segnato da una pietra bianca, nel muro, giacchè qui era la scala santa, che fu trasportata a Roma. La salita comincia: i soldati circondano i due ladroni, Cosma e Disma, e colui che per ischerno era chiamato il Re dei Giudei. Per un certo tempo con un nuovo coraggio, Gesù cammina, curvo, pallido, grondante di sudore, e gocciolante sangue dalla fronte, ove gli misero una corona di spine.

(III) Ma arrivato all’altezza dove la via del Pretorio s’incontra con la via di Damasco, ecco, egli cade in terra: in questo angolo, vi è una colonna spezzata in due, che indica il primo abbattimento delle forze del Martire. La via, qui, è larga, è percorsa da pedoni, da cammelli carichi, da asinelli che vanno al bazar, è poco lontano: degli arabi passano, seminudi.

(IV) Infine, il Martire si rialza ma dopo cento passi ecco un gruppo di persone che gli va incontro, è Maria Vergine, è la Madre che cerca suo figlio. Egli la vede, la guarda, la saluta: Salve, Mater! Ed Ella? Ella non dice nulla: ella tramortisce fra le braccia delle donne. È una viottola, dove è accaduto l’incontro; rare persone, la percorrono: una piccola cappella è poco lontano, dedicata a Nostra Signora dello Spasimo.

(V)  Ma le forza di Gesù, dopo l’incontro con la madre, decadono sempre di più: i soldati hanno fretta di finirla, giacché la Pasqua si approssima e vogliono goderla liberamente: essi trovano un contadino, un tal Simone di Cirene, e gli caricano addosso la croce di Gesù: ma Simone non la porta che per poco tempo. È innanzi una casa bigia, in un gomito che fa la Via Dolorosa, che il Cireneo ha alleggerito, per poco, le spalle dolenti del martire.

(VI) La strada si fa più ripida cominciano gli scalini mentre il condannato ascende, affannato, morente, grondante di sudore e sangue, quell’erta, invocando la morte a ogni passo, una donna esce dalla sua casa. Essa si chiama Berenice ed è ebrea: che importa? La pietosa, senza tema alcuna, si avanza fra i soldati e asciuga con un lino, la estenuata faccia dell’agonizzante: e sul lino resta l’impronta di quel volto, e dal quel giorno, ella non si chiamerà più Berenice, ma Vera-icon, vera immagine. La sua piccola casa esiste, sotto un arco oscuro, sopra certi scalini: ed è bruna, scavata nella roccia: ora, forse vi faranno una cappella.

(VII) Ma il tragico andare continua: a sessanta metri dalla casa di Veronica, in una via che era quella la Porta Giudiziaria, Gesù cade, per la seconda volta, sotto la croce. Attorno attorno, vi sono delle piccole case bianche: sopra una finestretta, una rosellina bianca cresce, coltivata da qualche gerosolimitana, dagli occhi pesanti di languore: su le scalette, dei monelleti giuocano, parlando lestamente in arabo.

(VIII) Ma a furia di colpi, il morente si rialza: egli è così degno di una profonda pietà, che, a poca distanza, un gruppo di donne di Gerusalemme, lo guarda passare e piange. E la gran profezia, esce dalle labbra di colui, che va ingiustamente alla morte: Figlie di Gerusalemme, non piangete su me, piangete su voi stesse e suoi vostri figliuoli! Poi, egli, riprende il suo cammino: è lungo, il cammino, l’ascesa è difficile; già il Golgotha, il luogo dell’infamia e della morte, appare, ma raggiungerlo, ci vuole un altro sforzo.

(IX) Adesso, questa via è chiusa dalle costruzioni posteriori di Gerusalemme; e ci vuole seguire Gesù, in tutto il suo cammino, bisogna che faccia tre o quattro giri, che ritorni indietro e che, infine, arrivi a una delle ultime stazioni, in un piazzale alto, dove, in vista già del Calvario, Gesù cade per la terza volta sotto la croce. Questo piazzale sovrasta un angolo del bazar, è uno dei posti più frequentati e più sporchi di Gerusalemme: il posto dove l’ultimo spasimo doveva colpire Gesù, è al ludibrio di questi arabi, di questi musulmani, di questi abissini copti, di questi pallidi ebrei. L’animo si stringe e il cuore soffre una mortale oppressione.

(X) Ora, il resto della disumana scena, è tutto nella chiesa del Calvario, in alto, dirimpetto alla fredda roccia, dove fu calato il corpo dell’estinto. Una grande rosa di pietra, in terra, indica, il posto dove Gesù fu spogliato delle sue vesti e i soldati le giocarono, tirandole a sorte;

(XI) è poco distante, nella medesima chiesa del Calvario, che un quadrato del mosaico indica dove il martire fu inchiodato sulla croce;

(XII) quattro metri più in là, verso est, un buco cilindrico, foderato di argento, dice il posto dove fu rizzata la croce. Essa guardava l’Occidente, e gli occhi di Cristo spirante, tante volte si fissarono su quel lato del mondo dove doveva fondarsi la sua fede! Ma ormai, la lugubre, scena volge al suo termine: le sette parole sono state pronunziate: egli ha perdonato al buon ladrone, egli ha parlato a sua madre, a Giovanni, egli ha messo il suo spirito nelle mani di suo Padre: la morte è venuta.

(XIII) Qui, dove è questo piccolo altare dello Stabat Mater, per opera dei pietosi, Gesù Cristo è disceso dalla croce, deposto nel grembo di Maria: quaggiù, su questa pietra di marmo, la pietra dell’unzione, il suo corpo è lavato, profumato di nardo e mirra.

(XIV) E a venti passi di distanza, ecco, nel breve giardino del buon Giuseppe d’Arimatea, nel sepolcro ancora nuovo, la salma è deposta, mentre la notte cade. La Via Dolorosa è finita”.

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