Quando le collezioni entrano in dialogo: la mediazione culturale si rafforza al Terra Sancta Museum
Un progetto unico sta prendendo forma nel cuore della Città Vecchia di Gerusalemme, nei pressi di Dar al-Consul – lo spazio dedicato alla mediazione culturale del Terra Sancta Museum. Hakayet Turath, letteralmente “Racconti di Patrimonio” in arabo, è un’iniziativa educativa e culturale guidata dalla ONG Pro Terra Sancta e finanziata dall’Unione Europea. Costruito attorno alle collezioni del Terra Sancta Museum, il programma mira a rendere la cultura accessibile a tutti: bambini, famiglie, studenti e comunità locali.
Questo progetto, basato su metodi interattivi e partecipativi, combina laboratori artistici, visite museali, pubblicazioni educative e persino un museo “mobile” che viaggia verso villaggi e scuole vicini, raggiungendo le persone nei luoghi in cui vivono. Artisti, educatori e accademici collaborano per rafforzare l’identità palestinese, convinti che il patrimonio debba restare vivo per poter essere condiviso.
Un team eterogeneo e internazionale
Dietro questo progetto si trovano storie diverse. Tra questi vi è Morgane Afnaim, 30 anni, italiana, che vive a Gerusalemme da quattro anni e svolge il ruolo di project manager. Si occupa del coordinamento generale e supporta quotidianamente un team di sette persone. Accanto a lei lavora Hussam Ghosheh, 36 anni, palestinese, responsabile dell’educazione al patrimonio culturale e della mediazione. C’è anche Rinad Kulghasi, 26 anni, proveniente dal campo profughi di Shu’fat, situato 3 km a nord di Gerusalemme. Laureata in archeologia e turismo presso l’Università Nazionale An-Najah di Nablus, rappresenta la nuova generazione di mediatori formati all’interno del progetto. Come educatrice junior, contribuisce alle attività di mediazione culturale e guida visite per giovani e famiglie.
Un progetto radicato e costruito insieme
Negli anni, Morgane ha imparato che tutto inizia dall’osservazione e dal dialogo:
«Il progetto viene sempre costruito attraverso un processo condiviso. Iniziamo stando sul territorio, osservando, parlando con partner e attori culturali per comprendere i bisogni educativi e di conservazione. Cerchiamo sempre di adottare un approccio inclusivo, di ascoltare le esigenze della comunità e di co-creare le attività con loro, piuttosto che imporre un programma già pronto», spiega.
Nulla è fisso o predeterminato: adattarsi alla realtà e ai bisogni attuali è essenziale. Ogni nuovo progetto si basa sulle lezioni apprese dai precedenti. Lo stesso vale per Terra Sancta Museum: Heritage Education Hub for Palestinian Youth, che segue Terra Sancta Museum (TSM): A Community Living Museum for Palestinian Youth, entrambi finanziati dall’Unione Europea nell’ambito dell’East Jerusalem Program.
Dal 13 agosto 2024, l’Unione Europea ha sostenuto l’implementazione di cinque importanti attività di mediazione culturale: un laboratorio di realizzazione di lampade in argilla, un’attività di scavo e una performance teatrale educativa, tra le altre. Da settembre 2025, nuove attività hanno arricchito il programma, tra cui un laboratorio di stampa presso il Palestinian Heritage Museum di Gerusalemme. Il progetto ha riscosso grande successo.
Resistenza e riappropriazione culturale
Nativo della Città Vecchia di Gerusalemme, Hussam vede la mediazione culturale innanzitutto come un modo per esistere nella propria città:
«Essere coinvolto in questo progetto è un atto di resistenza culturale. È il mio modo di riconnettermi con la mia città natale e di riportare in vita un patrimonio che è mio.»
Il progetto Hakayet Turath sta diventando un vero e proprio polo educativo dedicato al patrimonio culturale, aprendo al contempo nuove prospettive per i giovani professionisti di Gerusalemme. Ogni giorno, Hussam assiste all’impatto concreto del suo lavoro nel coinvolgimento di bambini, adolescenti e famiglie.
Nell’ultimo anno, 671 bambini hanno preso parte alle attività, provenendo da Gerusalemme Est e dai villaggi vicini come Nabi Samuel, Al-Jeeb, Deir Abu Mashal, Aboud e Betlemme. Il progetto mira a raggiungere un totale di 8.000 studenti, 1.000 giovani e 200 famiglie, rappresentando il 90% dei palestinesi della Città Vecchia di Gerusalemme. È realizzato con sei partner principali: lo Spafford Centre, Burj Luqluq, Al-Saraya Centre, il Palestinian Heritage Museum di Gerusalemme, il Palestinian Museum di Birzeit e altre collaborazioni, come quella con Riwaq. Prevede di sostenere 30 scuole entro il 2027 e sta già collaborando con la Terra Sancta School, la At-Tur Girls School e la Alberuni School di Shu’afat.
Per Hussam, ogni attività condotta al museo va oltre il valore educativo: serve come veicolo di connessione sociale e di senso di appartenenza culturale all’interno della comunità. Esprime con passione:
«È un modo di dimostrare ogni mattina che esistiamo, che siamo ancora qui.»
Il suo coinvolgimento nel progetto è profondamente radicato nella cultura e nell’impegno comunitario. Curioso e determinato, Hussam non è solo nel portare avanti questa iniziativa: Rinad Kulghasi è una delle giovani mediatrici culturali formate attraverso il progetto.
Il dovere di trasmettere
Rinad riassume subito il senso del suo impegno:
«Voglio dare alla mia comunità ciò a cui io non ho avuto accesso crescendo. Voglio insegnare alla mia comunità l’importanza dei musei e del patrimonio, perché è la nostra storia, sulla nostra terra.»
Con una laurea in turismo e archeologia, Rinad ha seguito corsi di storia e mediazione museale, in particolare presso il Museo di Arte Islamica, dove si forma come guida. All’interno del progetto, aiuta nella creazione di nuove visite guidate e percorsi e nella logistica dei laboratori. Da quando è entrata nel team, sta scoprendo siti poco conosciuti di Gerusalemme, dando senso al suo ruolo:
«Essere in grado di restituire qualcosa alla mia comunità è una responsabilità.»
Ancora in fase di apprendimento, Rinad continua a formarsi di progetto in progetto, unendo la sua passione per il patrimonio al suo impegno verso la comunità.
Oltre i confini
Tutti i membri menzionano una grande sfida: il contesto politico. Checkpoint, restrizioni alla libertà di movimento e militarizzazione degli spazi pubblici rendono il lavoro incerto.
«Abbiamo sempre bisogno di un piano B, a volte anche di un piano C. Lavorare nel contesto di Gerusalemme significa vivere nell’incertezza, ma ci ricorda anche quanto sia essenziale incoraggiare le comunità palestinesi a riappropriarsi del proprio patrimonio.»
Hussam aggiunge:
«La sfida più grande è la situazione politica: i movimenti sono limitati dai checkpoint e lavoriamo nel mezzo di una zona di guerra.»
Rinad conferma:
«Da bambina attraversavo i checkpoint ogni giorno per andare a scuola. Oggi voglio che i giovani possano accedere alla cultura senza ostacoli.»
È in questo spirito che è nato l’approccio del museo mobile, un’iniziativa che mira a raggiungere le comunità di Gerusalemme Est, oltre il muro di separazione, per rendere la cultura accessibile a tutti.



