8 Giugno 2022

Da amare e proteggere: i cataloghi di oreficeria del Terra Sancta Museum

di OLIVIER RENARD

Tra gli annunci più importanti di questo inizio anno c’è il lancio ufficiale della produzione di un nuovo catalogo di oreficeria. Attualmente ce ne sono tre in elaborazione per il Terra Sancta Museum, dedicati rispettivamente al periodo medievale, moderno (XVII e XVIII secolo) e contemporaneo (XIX e XX secolo). Ma a cosa servono i cataloghi in un museo e come vengono prodotti? Per capirlo abbiamo incontrato Michèle Bimbenet-Privat e Anne Dion, curatrici delpatrimonio artistico e membri del comitato scientifico del TSM, e Florence Denise, traduttrice.


Affinché un museo esista e si identifichi principalmente attraverso le sue collezioni, una delle condizioni è la promozione, il più ampia possibile, delle opere che esso conserva. Nel corso dei secoli, molti mezzi sono stati sviluppati per questo scopo. Il catalogo è uno di questi, ed assume una rilevanza particolare nei momenti in cui il museo risulti inaccessibile, sia per vincolo geografico che per questioni economiche (come non pensare alla crisi sanitaria che ci preoccupa ancora oggi). I cataloghi del TSM non fanno eccezione a questa logica.

«La finalità del catalogo è cambiata negli ultimi dieci anni – afferma Michèle Bimbenet-Privat – I primi oggetti che abbiamo catalogato erano per la mostra di Versailles. All’epoca, bisognava mostrare che una collezione esisteva, perché nessuno ne era a conoscenza. Oggi, grazie alle varie mostre che si sono succedute da allora, credo che con questi cataloghi il pubblico saprà che a Gerusalemme esiste non solo una collezione ma anche un museo».

Il catalogo, quindi, vuole essere, in una certa misura, una vetrina e un mezzo di comunicazione, per l’istituzione che lo produce. Parlare di museologia significa anche e soprattutto parlare della conservazione delle opere e quindi della loro tutela: «Un catalogo ovviamente serve a far conoscere una collezione ma anche, credo, a tutelare le opere – dice Anne Dion – perché pubblicarle significa prendere coscienza del loro valore e della loro importanza. In questo senso, possiamo dire che il catalogo amplia il lavoro di inventariazione delle collezioni, che consiste nella registrazione ufficiale di ogni opera, poiché comunica anche (e ad un pubblico molto più ampio) l’esistenza di queste opere. 

In un catalogo vengono registrate tutte le opere? In linea generale sì, è inoltre obiettivo primario del catalogo offrire una visione esaustiva della collezione. Dove collezione è da intendersi in senso stretto: essa può essere un insieme specifico risultante da una donazione o anche un gruppo di opere con la medesima provenienza e datazione (scultura della Borgogna del XV e XVI secolo ad esempio). Nel caso del Terra Sancta Museum, invece, viste le diverse origini e datazioni delle opere, il criterio di catalogazione è ricaduto soprattutto sulla tecnica di realizzazione. Il risultato è un insieme di opere molto ampio per un unico catalogo ma anche qualitativamente assai eterogeneo. 

«I nostri cataloghi si sono lasciati scegliere – afferma Michèle Bimbenet-Privat – Quando ho iniziato lo studio del database e ho visto che c’erano diverse centinaia di lampade da santuario, ad esempio, ho deciso subito di concentrarmi su pezzi che rientravano nel periodo cronologico su cui volevo lavorare e che presentavano un certo valore artistico».

Tuttavia, anche se queste opere offriranno una scelta, lo spirito con cui sono pensate rimane lo stesso dei cataloghi tradizionali perché si tratta sempre di presentare un catalogo cosiddetto ‘ragionato’, cioè organizzato secondo un particolare classificazione: «Nel caso specifico del catalogo [dell’argenteria moderna], continua Michèle Bimbenet-Privat, ho pensato che la cosa più interessante fosse rispettare la diversità delle origini geografiche e allo stesso tempo la loro cronologia». Pertanto, il lavoro sarà organizzato su tre livelli. Il primo distingue gli oggetti a seconda che provengano da un dono diplomatico (di grandi corti o famiglie d’Europa), privato (da un pellegrino) o ottomano. Queste tre categorie principali vengono poi suddivise per paesi o macro regioni d’Europa (in quanto la divisione dei paesi attuali non sempre corrisponde alla realtà geopolitica dell’epoca), e infine classificate cronologicamente. 

Ma torniamo al processo di produzione di questi cataloghi. Il punto di partenza è la scelta delle opere da inserire nel catalogo. Come riesci a fare una selezione tra diverse centinaia/migliaia di opere? «Il criterio di selezione è innanzitutto che l’opera sia artisticamente interessante per il suo modello, il suo orefice e poi per la sua provenienza – spiega Anne Dion – La presenza di uno stemma o la documentazione storica di quell’oggetto contribuiscono alla sua aggiunta al catalogo».

 Questa selezione è possibile, in primo luogo, grazie al lavoro di molti volontari che si sono succeduti nel corso degli anni e che hanno progressivamente compilato l’inventario generale del patrimonio della Custodia (che, ricordiamo, si estende su Egitto, Cipro e  Siria) «Un buon lavoro è stato fatto a monte, aggiunge Anne Dion, conducendo inventari e campagne fotografiche che ci permettono di vedere i segni distintivi e di individuarli».

Dopo questa prima fase, ogni oggetto viene poi assegnato agli specialisti che hanno il compito di scrivere una nota. Sorge quindi una difficoltà: poiché la collezione ha molteplici origini, richiede il ricorso a una gran varietà di specialisti che, inoltre, non parlano tutti la stessa lingua. È qui che entra in gioco Florence Denise, che traduce in francese avvisi redatti in spagnolo e italiano: «La sfida di tradurre [un avviso] è rendere il più precisamente possibile la parte tecnica di un oggetto e trasporla nel cultura della lingua di arrivo. Ogni lingua infatti non è equivalente, la differenza non si ferma a una questione di vocabolario (già complessa) ma tocca anche il modo di esprimersi, di formulare una frase. 

«Un esempio che mi viene in mente – continua Florence Denise – riguarda l’italiano, le cui frasi sono molto più lunghe rispetto al francese. C’è quindi anche una trasposizione stilistica da mettere in atto». E che dire delle differenze metodologiche nello studio di un’opera che sono proprie della formazione di ogni autore: «In francese la descrizione dell’opera è meno presente che in italiano o spagnolo. È più ‘essenziale’ e si tratta più rapidamente di storia e tecnica». 

«La diversità degli autori è l’aspetto più complicato da gestire, aggiunge Michèle Bimbenet-Privat. È stato necessario elaborare un modulo standard in modo tale che ogni avviso fosse presentato allo stesso modo; e anche così permangono notevoli disparità».

Tuttavia, chi può parlare meglio di un’opera se non un nativo del suo paese di produzione con accesso alle fonti storiche? Specificità del Terra Sancta Museum, già a partire dal suo comitato scientifico, è l’internazionalità delle sue équipe che nasce da una necessità rivelatasi anche un pregio: «Ogni autore ci aiuta pubblicizzando, nel suo paese o nella sua regione, le opere della Custodia. Questo è ciò che interessa nella costituzione di un team internazionale: il fatto che ognuno di noi abbia conoscenze complementari tra loro».

E a che punto siamo oggi?!

Se il catalogo del XIX e XX secolo (affidato ad Anne Dion) è agli inizi, quello contemporaneo (diretto da Michèle Bimbenet-Privat) volge presto al termine! «Ora siamo a un bivio, conclude Michèle Bimbenet-Privat. L’anno prossimo penso che il catalogo sarà finito, sono in procinto di revisionare i testi e le introduzioni e poi dovremo trovare un editore e ottenere i preventivi». Una nuova fase che porterà la sua parte di sfide perché ci saranno poi da curare gli aspetti materiali dell’opera: il tipo di copertina, la qualità della carta, l’impaginazione e ovviamente… il finanziamento! La fase editoriale è cruciale, nel senso che ha un’enorme influenza sulla distribuzione dell’opera. Se non altro attraverso la scelta dell’editore, che avrà un compito così importante in quanto la sezione storica del TSM (che conterrà l’argenteria) non sarà ancora aperta. In ogni caso, non c’è dubbio che queste produzioni affascineranno più di qualcuno, persino un neofita: «È una grande sfida che ci porta in viaggio e ci apre nuovi orizzonti mostrandoci gli oggetti in un altro modo – testimonia Florence Denise. A dire il vero, non sono molto attratta dall’oreficeria, ma più ci si immerge nell’universo degli oggetti, più si diventa sensibile a tante sfumature. Entriamo molto più nel dettaglio e li apprezziamo molto di più».

Dobbiamo ancora ricordare che nel termine “storia dell’arte” c’è “storia”? Attraverso lo studio di una collezione, un catalogo trasmette moltissimo degli oggetti, invitandoci ad immergerci in un’altra epoca, con le sue vicissitudini, il suo gusto, il suo saper fare… Ma fino ad allora, un po’ più di pazienza, i prossimi due i libri in uscita sono previsti per la fine del 2024!

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