23 Giugno 2022

Quando i firmani mamelucchi rimossero le divisioni tra le chiese di Gerusalemme

di LUCIE MOTTET

Nel mese di maggio 2022, Camille Rouxpetel e Alice Croq hanno trascorso un mese a Gerusalemme, nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dall’Agenzia Nazionale delle Ricerche (ChrIs-cross) sulla storia di Gerusalemme, così come conservata negli archivi della Chiese della Città Santa. 


Potreste parlarci brevemente dei vostri rispettivi background?

Camille Rouxpetel: Alice ed io siamo entrambe professoresse. Alice è una specialista in manoscritti arabi e siriaci, ha lavorato a lungo sulle Chiese miafisite [1], in Egitto, in particolare sui colophoni, (paragrafi inseriti dai copisti all’inizio o alla fine dei manoscritti). Io invece ho scritto una tesi sulla rappresentazione dei cristiani d’Oriente nelle fonti occidentali in Armenia, Siria, Palestina ed Egitto. In particolare ho lavorato sulle storie di pellegrini e missionari dal XII al XV secolo.

Come è nato questo progetto di ricerca?

A partire dal 2015 ho iniziato ad interessarmi agli archivi della Custodia di Terra Santa, che, per il periodo medievale, conserva quasi esclusivamente documenti islamici. Trascorrendo del tempo lì e soprattutto negli archivi di altre comunità religiose, ho avuto accesso ad alcuni tipi di documenti mamelucchi [2] chiamati hogget-s e firmani. Questi documenti, mai consultati prima d’ora, ci permettono di scrivere la storia della dhimma [3] dal punto di vista dei cristiani. Diventa così possibile scrivere un’altra storia dei francescani, partendo da fonti del Vicino Oriente e considerando i frati come attori a pieno titolo della società mediorientale e non come espatriati occidentali.

Troviamo i firmani insieme ad istituzioni islamiche?

I firmani sono documenti islamici che provengono direttamente dal sultano mentre gli hogget sono emanati dai tribunali. Per il periodo islamico – e soprattutto per il periodo ayyubide e mamelucco – sopravvivono pochissimi archivi. Molti di questi archivi sono stati conservati da istituzioni cristiane che li hanno custoditi con cura per far valere i propri diritti e privilegi. Ne fanno parte anche atti di proprietà: essi permettono così di capire come erano distribuite le comunità religiose a Gerusalemme.

La vostra ricerca passa attraverso gli archivi delle diverse Chiese di Gerusalemme. Come siete riuscite a costruire questo rapporto di fiducia con le diverse istituzioni religiose?

Vengo qui regolarmente da sette anni. Ho organizzato molteplici convegni a cui hanno partecipato i membri delle diverse Chiese. I legami hanno iniziato ad intrecciarsi così e, piano piano, si sono aperte le porte. Ma ciò significa trascorrere del tempo con la comunità e lavorare con le persone lì. Le Chiese sono consapevoli dell’importanza dei loro archivi e stanno già lavorando per preservarli. Ma dobbiamo continuare a lavorare insieme affinché tengano maggiormente conto dell’importanza di questa specifica collezione, che testimonia la diversità del mondo islamico. Va ricordato che queste società islamiche medievali, anche se esistono relazioni di potere o disuguaglianze, sono società intrinsecamente plurali. 

Perché le chiese hanno paura di aprire i loro archivi?

Le istituzioni sono sospettose in parte perché i firmani toccano questioni di proprietà. Noi però lavoriamo su periodi molto antichi che perciò non mettono in discussione lo status quo attuale. C’è anche una certa sfiducia perché le Chiese a volte non conoscono esattamente il contenuto dei loro archivi. Ci vuole tempo, ma non è mai tempo perso. Questo è anche ciò che rende bello e interessante questo lavoro: la possibilità di incontrare molte persone. Passando del tempo alla Custodia è cambiato il mio modo di lavorare, così come anche la mia visione dei Latini a Gerusalemme. Li considero ora pienamente parte del mondo orientale, senza occidentalizzarli.

In che modo questi firmani dimostrano che la Custodia è radicata nel mondo arabo?

I firmani francescani ci mostrano che la Custodia funziona veramente come un’istituzione mediorientale, proprio come le altre Chiese presenti a Gerusalemme. Si potrebbe pensare che, poiché i francescani dipendono da Roma, vadano considerati diversamente. Ma se teniamo conto di queste fonti del Vicino Oriente, i francescani sono dhimmi allo stesso modo degli altri cristiani. Ci sono anche prove molto antiche di frati arabi nella Custodia.

Che cosa ci permettono di dire questi firmani sulla natura dei rapporti tra i francescani e gli enti locali?

Le Chiese non sono enti passivi e dunque non lo sono nemmeno i francescani! Questi documenti illustrano la diffusione e la presenza del diritto islamico nei diversi strati di questa società, anche tra i cristiani latini appena arrivati. La Custodia fu fondata nel XIV secolo e, molto rapidamente, i Francescani riuscirono a comprendere le regole del gioco ed in particolare le regole legali. Questi firmani mostrano che i francescani si appropriano del diritto islamico mettendo in atto strategie di fronte al potere. Dobbiamo capire che il mondo medievale non è mobile ma è diverso. Dobbiamo accettare che possiamo avere situazioni contraddittorie e allo stesso tempo concomitanti. Non c’è né convivenza ideale né oppressione totale! Ci sono momenti di tensione, momenti di armonia, e in tutto questo i cristiani riescono a fare la loro parte.

Firman che autorizza la posa di piombo sulla cupola della chiesa del Monte Sion, emesso da An-Nasir Yusuf (1228-1260), sultano dell’Impero Ayyubide – 1250-1260 (copia del 1514)

Questa ricerca forse sottende un progetto ecumenico, favorendo una migliore conoscenza delle Chiese l’una con l’altra?

Da storica, devo dire che la questione ecumenica non è l’obiettivo della ricerca. D’altra parte, è abbastanza ovvio che l’espressione “lavorare con” implichi contatto e comunicazione. I latini hanno archivi che riguardano greci, armeni ecc. e viceversa. Questo progetto potrebbe contribuire a un’azione comune delle Chiese per mostrare che il cristianesimo a Gerusalemme è un intreccio di cristianesimo. Credo che questo sia importante negli affari attuali poiché chi scrive la storia di queste Chiese è spesso o in una logica apologetica o in una logica di costruzione comunitaria e identitaria. Scrivendo in questa logica, l’interesse è relativamente poco concentrato sugli archivi storici ma più sulle fonti dottrinali o sulla storia ecclesiastica. Gli archivi richiedono un lavoro diverso e meno compartimentato. Preferirei la parola “decompartimentazione” a quella di ecumenismo. Una decompartimentazione da un punto di vista metodologico ma anche storico per proporre una storia più globale e connessa dei cristiani di queste terre.


[1] Le cosiddette Chiese miafisite sono quelle che rifiutarono le formulazioni del Concilio di Calcedonia (451), che definiva l’unità della persona e la dualità delle nature in Cristo. Di conseguenza, dopo il 451 si separarono dalle Chiese dette calcedoniane, ovvero le Chiese di Roma e Costantinopoli.

[2] Il Sultanato mamelucco, con capitale Il Cairo, è il regime che governò la Terra Santa tra il 1250 e il 1517.

[3] Il dhimma o “patto di protezione” è la legge in base alla quale i non musulmani vivono sotto la sovranità islamica.

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